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venerdì 7 dicembre 2007

Quale sicurezza?

Hola carissim*,
la parola sicurezza è sulla cresta dell'onda politica ormai da parecchi anni, ma tale vocabolo viene declinato sempre e solo come sicurezza nei confronti di episodi, di minore o maggiore gravità, di microcriminalità violenta e per di più sempre con accenti di repressione e mai di prevenzione. Al contrario io penso che non vadano trascurate molte altre sfaccettature di quel termine che invece finiscono puntualmente nel dimenticatoio: sicurezza del e sul lavoro, sicurezza di una vecchiaia dignitosa, sicurezza di un diritto uguale per tutti, etc. etc.
In quest'ottica vi propongo l'editoriale de "Il Manifesto" di ieri 7 dicembre in merito alla tragedia alla Thyssenkrupp di Torino (Nota: 'articolo parla di un solo morto, ora che scrivo il sinistro conteggio è già arrivato a 4).
Caire atque vale
Giuseppe


Flessibili da morire
Loris Campetti

Era molto flessibile Antonio,
un giovane di 36 anni ucciso
ieri alla Thyssenkrupp di
Torino. Ucciso non da un incidente,
non da un infortunio: ucciso
dallo sfruttamento selvaggio che
fa tirare amille gli impianti fino a far
esplodere le macchine e costringe a
un lavoro bestiale gli operai. Al momento
in cui quel maledetto tubo
che trasportava olio bollente è stato
colpito da una scintilla sprigionatasi
dal quadro elettrico s'è spezzato, trasformandosi
in un lanciafiamme, Antonio
e una decina di ragazzi come
lui sono stati colpiti. Tutto e tutti
hanno preso fuoco, gli estintori non
funzionavano, la linea 5 delle ex Ferriere
sembrava una città bombardata
con il napalm, raccontano i sopravvissuti.
Quando si è trasformato
in una torcia umana, alle due di notte,
Antonio era alla quarta ora di straordinario.
Dunque era alla dodicesima
ora di lavoro in quell'inferno.
Antonio era molto flessibile, come
tutti gli altri ragazzi della Thyssenkrupp.
Alle 12 ore di lavoro ne aggiungeva
ogni giorno due o tre di
viaggio da casa, nel Cuneese, alla fabbrica,
e ritorno. Non è che gli restasse
molto tempo per la sua compagna
e i suoi tre bambini, la più grande
di 6 anni e il più piccolo di 2mesi.
Antonio era proprio il tipo di operaio
di cui ha bisogno un padrone tedesco
che decide di chiudere la fabbrica
di Torino per portare la produzione
in Germania,ma prima di mettere
i sigilli agli impianti vuole tirare fino
all'ultima goccia di sangue alle
macchine e agli uomini, ai ragazzi.
Per questo una decina di loro ha preso
fuoco, nel 2007, nell'occidente
avanzato, sotto il comando di Thyssenkrupp,
un nome che se scomposto
in due rimanda ad altri fuochi, a
un altro secolo, a un'altra guerra.
C'è la fila, adesso, di quelli che si
lamentano per la mancanza di sicurezza
sul lavoro. Forse tutti si erano
distratti: presi com'erano a combattere
l'insicurezza provocata dai rumeni
si sono dimenticati della guerra
quotidiana in fabbrica, nei campi,
nei cantieri. Chi oggi dice che servono
maggiori misure di sicurezza sul
lavoro dovrebbe aggiungere che il
modello sociale ed economico dominante
è criminale. Chi chiede di produrre
di più, per più ore nel giorno e
per più anni nella vita è corresponsabile
dei crimini quotidiani sul lavoro.
La sicurezza è incompatibile con
l'accumulazione selvaggia, togliendo
dignità e diritti ai lavoratori si aumenta
l'insicurezza, sul lavoro e nella
vita.
I teorici del liberismo, della fine
del welfare, di quella che spudoratamente
chiamano flessibilità ma che
per noi è precarietà, hanno tutti i diritti
nella nostra società. Ma uno almeno
non ce l'hanno: quello di piangere
i morti sul lavoro perché quei
morti sono vittime della loro cultura
e della loro fame di danaro e di potere.
I tre bambini di quel paesino del
cuneese che si chiama Envie non
sanno che farsene delle loro lacrime.
E noi con loro.
Probabilmente i cancelli della fabbrica
torinese della Thyssenkrupp
non riaprirà mai più. Speriamo che
non riapra più, il prezzo da pagare
per tenerla aperta è troppo alto.

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