obiettoredicoscienzaecittadinodelmondomotopaciciclifistanonviolento

Se non ora, quando? Se non qui, dove? Se non io, se non tu, chi?


Vuoi essere avvisato ogni volta che il blog viene aggiornato?


Iscriviti alla mailing list, puoi farlo mandando una mail all'indirizzo:

guernica_70-subscribe@yahoogroups.com

e poi seguire le semplici istruzioni illustrate nela mail che riceverai in risposta.

sabato 29 dicembre 2007

Editoriale di Tariq Ali e intervista al giornalista pachistano Ahmad Ejaz su Omicidio Benazir Bhutto

Hola carissim*,

vi rigiro l'editoriale di Tariq Ali pubblicato su "Il Manifesto" di ieri in merito all'omicidio di Benazir Bhutto; sullo stesso tragico evento è molto interessante anche l'intervista al giornalista pachistano Ahmad Ejaz fatta da Gianluca Ursini di Peace Reporter.


L'esito finale del dispotismo
Tariq Ali

Anche quelli di noi che avevano criticato aspramente il comportamento e le scelte politiche di Benazir Bhutto - sia quando era al potere che più di recente - sono sbalorditi e arrabbiati per la sua morte. L'indignazione e la paura tormentano ancora una volta il paese. È stata questa bizzarra coesistenza di dispotismo militare e anarchia a creare le condizioni che hanno portato al suo assassinio, avvenuto ieri a Rawalpindi. In passato il governo militare aveva la pretesa di garantire l'ordine, e per alcuni anni lo ha fatto. Ora non più. Oggi esso crea disordine, promuove l'assenza della legge. In quale altro modo possiamo spiegare il licenziamento del presidente e di altri otto giudici della Corte suprema pakistana, cacciati per aver tentato di rendere la polizia e le agenzie di intelligence responsabili del loro operato davanti ai giudici?
Quelli che hanno preso il loro posto non hanno il fegato di fare niente, figuriamoci condurre un'inchiesta sui misfatti di quelle agenzie, un'inchiesta che incoraggi a giungere alla verità che sta dietro l'omicidio, accuratamente organizzato, di una importante leader politica. Come può il Pakistan, oggi, essere altro che un luogo dove esplode la disperazione? Si dà per scontato che gli uccisori fossero dei fanatici jihadisti. È possibile che sia vero, ma hanno agito da soli?
Secondo le persone che le erano vicine, Benazir era stata tentata di boicottare le elezioni truccate, ma le è mancato il coraggio politico di sfidare Washington. Aveva moltissimo coraggio fisico e si era rifiutata di lasciarsi intimorire dalle minacce provenienti da oppositori locali. Aveva tenuto un comizio elettorale al Liaquat Bagh, un famoso parco intitolato al primo premier del paese, Liaquat Ali Khan, ucciso da un killer solitario nel 1953. Il suo assassino, Said Akbar, fu immediatamente ucciso a sua volta per ordine di un ufficiale di polizia coinvolto nel complotto.
Un tempo, non lontano da lì sorgeva una struttura coloniale dove venivano tenuti prigionieri i nazionalisti. Era il carcere di Rawalpindi. È qui che il padre di Benazir, Zulfiqar Ali Bhutto, fu impiccato nell'aprile 1979. Il tiranno militare responsabile del suo omicidio legalizzato volle che il luogo della tragedia fosse distrutto.
La morte di Bhutto avvelenò le relazioni tra il suo Partito del popolo pakistano e l'esercito. Gli attivisti del Partito, in particolare nella provincia di Sind, furono brutalmente torturati, umiliati, e in alcuni casi sparirono o furono uccisi.
La turbolenta storia pakistana, risultato dei continui governi militari e di alleanze globali impopolari, mette ora di fronte a scelte serie l'élite al potere. Questa non sembra affatto avere intenzioni positive. La stragrande maggioranza del paese disapprova la politica estera del governo. La gente è arrabbiata per la mancanza di una seria politica interna, a parte l'arricchimento ulteriore di un'élite insensibile e avida comprendente un esercito gonfiato e parassitario, e ora assiste impotente all'omicidio di leader politici davanti ai suoi occhi.
Ieri Benazir era sopravvissuta allo scoppio della bomba, ma è stata abbattuta dai proiettili che hanno colpito la sua automobile. Gli assassini, memori di avere fallito a Karachi un mese fa, questa volta avevano raddoppiato le cautele. La volevano morta.
Ora è impossibile che si tengano le elezioni politiche, sia pure truccate. Bisognerà rimandarle, e l'alto comando dell'esercito senza dubbio sta considerando un'altra dose di governo militare se la situazione dovesse peggiorare, cosa assai probabile. Quella che si è verificata ieri è una tragedia a più livelli. È una tragedia per un paese che si avvia verso altri disastri. Uragani e cicloni lo aspettano. Ed è una tragedia personale. La casa della famiglia Bhutto ha perso un altro membro. Padre, due figli, e ora una figlia, sono tutti morti di morte violenta. Incontrai Benazir per la prima volta a Karachi, a casa di suo padre, quando lei era un'adolescente che amava divertirsi e poi, più tardi, quando era a Oxford. Non era una politica «naturale»: aveva sempre desiderato intraprendere la carriera diplomatica, ma la storia e la tragedia personale l'hanno spinta nell'altra direzione. La morte di suo padre l'aveva trasformata. Era diventata una persona nuova, determinata a sfidare il dittatore militare dell'epoca. Si era trasferita in un minuscolo appartamento a Londra, dove discutevamo per ore e ore sul futuro del paese. Pensava anche lei che le riforme agrarie, le campagne di alfabetizzazione di massa, l'assistenza sanitaria e una politica estera indipendente fossero obiettivi concreti e cruciali, se si voleva salvare il paese dagli avvoltoi con o senza uniforme. Il suo elettorato era costituito dai poveri, e ne andava fiera. Dopo essere diventata premier, cambiò di nuovo. Inizialmente discutevamo e, in risposta alle mie numerose proteste, si limitava a osservare che il mondo era cambiato. Non poteva stare «dalla parte sbagliata» della storia. E così, come tanti altri, fece la sua pace con Washington. È stato questo che, alla fine, ha portato all'accordo con Musharraf e al suo ritorno a casa dopo oltre un decennio di esilio. In una serie di occasioni, in passato, mi disse che non temeva la morte. Era uno dei pericoli, per chi fa politica in Pakistan. È difficile immaginare che da questa tragedia possa scaturire qualcosa di buono, ma c'è una possibilità. Il Pakistan ha disperatamente bisogno di un partito politico capace di esprimere i bisogni sociali di una massa di persone. Il partito del popolo fondato da Zulfiqar Ali Bhutto fu costruito dagli attivisti dell'unico movimento popolare di massa che il paese abbia mai conosciuto: gli studenti, i contadini e i lavoratori, che combatterono per tre mesi, nel 1968-69, per rovesciare il primo dittatore militare del paese. Essi lo vedevano come il loro partito e questo sentimento, nonostante tutto, in alcune parti del paese resiste ancora. La terribile morte di Benazir dovrebbe spingere i suoi colleghi a una pausa di riflessione. Talvolta dipendere da una persona o da una famiglia può essere necessario, ma per un'organizzazione politica è una debolezza strutturale, non una forza. Il Partito del popolo ha bisogno di essere rifondato come un'organizzazione moderna e democratica aperta alla discussione e a un dibattito onesto, che difenda i diritti umani e sociali, che unisca i diversi gruppi e i singoli individui che in Pakistan sono alla disperata ricerca di una qualsiasi alternativa appena decente, e che faccia proposte concrete per stabilizzare un Afghanistan occupato e devastato dalla guerra. Questo può e deve essere fatto. Alla famiglia Bhutto non si chiedano altri sacrifici.
Tariq Ali
Trad. Marina Impallomeni

Nessun commento: