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giovedì 29 novembre 2007

Ancora su Genova 2001 e su Federico Aldrovandi...

Hola carissim*,

Da Repubblica OnLine Edizione di Genova

Da La Nuova Ferrara OnLine

Non ho parole, i particolari sono sempre più inquietanti...
Caire atque vale
Giuseppe

L'unione fa la forza o...a forza si farà l'unione?

Hola carissim*,
l'ansia di unirsi a sinistra del Partito Democratico è tale che sono stati lanciati più appelli (ovviamente indipendenti l'uno dall'altro...) affinchè i vari soggetti partitici, associativi, movimentisti che si definiscono appartenenti alla galassia della sinistra e dell'ambientalismo si uniscano. Come poteva mancare un appuntamento per unire gli appelli unitari? Insomma, con una buona dose di scetticismo e disincanto, se riuscirò ad uscire per tempo dall'ufficio, penso che andrò a sentire cosa hanno da dire.
Caire atque vale
Giuseppe

PER LA COSTITUENTE DI UN SOGGETTO UNITARIO PLURALE ECOLOGISTA DELLA SINISTRA


LUNEDI’ 3 DICEMBRE ORE 17 All'ALPHEUS (Via del Commercio, 36 - Roma)


Idee a confronto tra i promotori degli appelli per la costituente e i partiti della sinistra, le organizzazioni sindacali, sociali, i movimenti, gli uomini e le donne di sinistra

mercoledì 28 novembre 2007

Copio dal blog dell'Imprecario e volentieri diffondo

Hola carissim*,
il pezzo sottostante l'ho copiato pari pari dal blog dell'Imprecario in quanto mi sembra giusto dargli massima diffusione.
Caire atque vale
Giuseppe

Cronaca di una manifestazione senza stravolgimenti mediatici

Intro (di imPrecario)


Ripubblichiamo qui in vesione integrale la cronaca a caldo di
il pezzo sottostante l'ho copiato pari pari dal blog Alba sulla manifestazione di Sabato. L'autrice, intristita dal fatto che un pezzo decontestualizzato del suo post fosse finito in un articolo di liberoblog, sotto una foto ritraente streghe minacciose torbidamente avvolte da uno striscione inneggiante alla violenza, e che alcune parole da lei scritte (opportunamente linkiate da quei volponi di libero) puntassero a sponsor pornosoft, aveva deciso in prima istanza di mandare gli artefici di suddetta manipolazione a .... pregare. Su consiglio (malevolo) del sottoscritto e sobillamento di tendenziosi blog sudisti ha autorizzato (come da licenza CC) la replicazione e diffusione della suddetta cronaca. Si invitano tutt* i/le bloggers solidali a fare altrettanto ed a diffondere un po' di informazione libera da libero

ed ora bando alle ciance posto al post (di Alba)


Bene, dopo un attento esame e partecipazione nel dibattito per la manifestazione contro il “femminicidio” in atto nel nostro bel paese formaggioso, femminicidio fatto passare puntualmente come un fatto di cronaca nera da far analizzare e smanettare a piacimento dai bruni vespi quotidiani… decido di partecipare e di incontrare Imprecario e Fika sicula. (Col primo ci sono riuscita con la seconda … ci siamo perse, ma non per sempre). Tornavo da un colloquio con i professori di mia figlia per discutere del suo disagio e della sua frequenza scolastica. Bene, superata la prova cappottino grigio e valutazioni serene sul da farsi con il corpo docente, prendo il telefono e chiamo espertona di adolescenza per sostegno figlia. Anche lì, piena comprensione e disponibilità sostegno. Ogni tanto mi viene il pensiero che è da tre mesi che l’azienda non mi paga … ma il pensiero passa. Mi chiama l’amica ostetrica dal sud … che mi dice di non aver trovato bus per la manifestazione ma che vuole continuare a seguire la faccenda, lei i suoi colleghi e le sue colleghe, che ogni 31 dicembre assistono alla gara che fanno i ginecologi per essere pubblicizzati dalla nascita di un bimbo del nuovo anno … costringendo le donne partorienti alle torture indotte per un parto in corsa col tempo!
Arrivo in piazza, mi chiama la figlia dicendo che all’uscita della scuola dei ragazzi hanno distribuito volantini contro la manifestazione … e che quindi lei e i suoi compagni non hanno voglia di venirci, preferiscono stare tra di loro. Io chiedo chi erano. Non si sa. E penso… ma vedi un po’ … che cosa strana … la guerra coi ragazzini … poi un lampo … sti ragazzini fra due anni votano! Ma certo! Tra due anni questi ragazzini voteranno! Ecco perché! Zitti zitti sotto sotto, tra bullismo e tifoserie, qui si coltiva il nuovo elettore … Intanto impazza un temporale micidiale con fulmini saette e tuoni. Armata d’ombello arrivo in piazza. Niente pioggia … solo musica colori e danze di donne rom … Mi accordo con Imprecario che è andato alla riunione di e nel frattempo incontro colleghe di lavoro, a sorpresa, anche direttrici artistiche e non della mia azienda, mi accodo con amiche giovanissime simpatiche e ci mettiamo all’inizio del corteo con le separatiste perché c’è buona musica, per ballare … insieme a tutte le donne di tutte le età … molti fotografi … alcuni vengono allontanati … allora indietreggiamo … andiamo nei gruppi misti … anche lì musica balli e giovanissime e giovanissimi e vecchietti con cartelli “IO SONO UN UOMO NUOVO”. Nonna vestita da nonna e nipotina rasta che gridano “Meno famiglia più parapiglia”. Musica entusiasmo, donne uomini, razze e colori. Niente servizi d’ordine ma dialettica sempre aperta. Improvvisamente entrano pezzi di uomini con vestiti oscuri intorno a Prestigiacomo e Carfagna. Gentilmente da alcune anziane partecipanti vengono allontanate. Il gesto più violento è stato un megafono che ha gridato “Fuori il fascismo dal corteo, fuori la Prestigiacomo”. Un corteo lunghissimo. Incontro i ragazzi della Contact dance con cui ho passato l’estate che facevano video. Incontro amica che lavora in un centro di Antiviolenza e assistenza alla maternità. Incontro Amica argentina docente dell’università di matematica e fisica della Sapienza. Con loro attraverso tutto il corteo per le foto e per cercare l'amica siciliana col grande cappello rosa. Ci fermiamo anche a farci un gelato con donne e bambini. Arriviamo fino ai poliziotti in tenuta antisommossa e 6 camioncini carabinieri e a seguire macchine che puliscono la strada. Ritorniamo in su e finalmente, è già buio, siamo a piazza Navona dove proiettano le testimonianza dei centri antiviolenza. Di fronte allo schermo c’è un piccolo palchetto. Vicino il camion della 7. Appoggiate su delle macchine, la Turco e la Pollastrini. Nessuno ha detto nulla, sono lì come donne, a vedere, camminare e sono dimesse. Improvvisamente salgono sul palchetto per le interviste. Il che è strano. Non intervistano le organizzatrici o le partecipanti ma loro. Alcune delle partecipanti quindi le allontanano e occupano il palchetto (più che altro era una specie di gazebo messo in alto). Grande applauso per questa mossa. Io anche batto le mani perché … NON E’ PIU’ POSSIBILE FARE COSI’!!!
Io credo bisognerà lavorare sui significati e i significanti del linguaggio … riprendersi la terra e la parola ... parafrasando: dove “Buongiorno significa davvero Buongiorno!!!”

martedì 27 novembre 2007

29/30-11 e 01-12: Al Kamandjati (il violinista)

Hola carissim*,
vi segnalo lo spettacolo al confine tra teatro e concerto "Al Kamandjati (il violinista)" che verrà rappresentato gioveì 29, venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre 2007 all'Auditorium di Roma:

La musica non è un privilegio: è un diritto di tutti. Per garantire questo diritto Ramzi Aburedwan, musicista palestinese, nato ventotto anni fa in un campo profughi alla periferia di Ramallah, ha deciso di aprire, nel 2005, una scuola di musica (Al Kamandjati) nel centro storico della città. E di portare lo studio della viola, del violino, della chitarra, della fisarmonica, nei campi profughi e nei centri urbani dei Territori Occupati. La storia di Ramzi è una parabola esemplare: nel 1987 era un ragazzino che lanciava le pietre contro i carri armati israeliani (e una foto diventata celebre lo ha fatto diventare il simbolo della prima Intifada), nel 1999 sedeva nella fila della West-Eastern Divan Orchestra fondata da Daniel Barenboim. Per raccontare questa storia in parole, musica e immagini Guido Barbieri e Oscar Pizzo, dopo l’esperienza di “Portopalo. Nomi su tombe senza corpi”, andato in scena all’Auditorium lo scorso anno, hanno riunito un gruppo del tutto “inedito” di artisti e di intellettuali: Amira Hass, corrispondente di Haaretz, l’unica giornalista israeliana che vive in Cisgiordania; Franghiz Ali Zadeh, compositrice azerbaijana di religione musulmana, amatissima da Yo Yo Ma e dal Kronos Quartet; Moni Ovadia, da sempre testimone attento della questione palestinese; Mohammad Bakri, il più popolare e amato attore palestinese; Yannis Kounellis, uno dei maggiori artisti contemporanei; Marco Di Noi, regista e videomaker e infine lo stesso Ramzi con i maestri e gli allievi di Al Kamandjati.

Io ho già comprato i biglietti per giovedì sera.
Caire atque vale
Giuseppe

Giovedì 29 ottobre: Musical Teatrale di solidarietà

Hola carissim*,
come è noto a Natale siamo tutti più buoni ed ecco infatti fioccare le iniziative di solidarietà; eccovi la proposta degli Amici di Huaycan:

Cari Amici,

Amici di Huaycan Onluse la Bottega Teatrale Sammarco hanno il piacere di invitarvi alla serata di Teatro e Solidarietà che si svolgerà

Giovedì 29 novembre 2007 ore20:45

in scena:

Sette Spose per sette Fratelli – il Musical!
Regia di Mauro Forlani
Con Davide Pecorella eJessica Piersanti



TEATRO SAMMARCO

Piazza Giuliani e Dalmati 18/20

www.teatrosammarco.it


Ingresso 8 euro

Metà del ricavato dellaserata verrà devoluto ad Amici di Huaycan Onlus
Per prenotazioni telefonare ai numeri:

06 5923195 . 347 4992123 . 3493140794


Vi aspettiamo numerosi(saremo presenti all'interno del Teatro con uno stand con artigianato peruviano, biglietti di auguri e il nuovo bellissimo calendario 2008!),
Gli Amici di Huaycan


Caire atque vale
Giuseppe

venerdì 23 novembre 2007

24 novembre 2007: Manifestazione Nazionale contro la violenza sulle donne

Hola carissim*,
domani qui a Roma si svolgerà la Manifestazione Nazionale contro la Violenza sulle Donne; punto focale del tutto sarà il porre l'attenzione sul fatto che la violenza sule donne sia un dato strutturale e strutturato nella nostra società e soprattutto sul fatto che essa non è rappresentata da devianze di vario genere in quanto l'80% dei casi di violenza sulle donne avviene all'interno delle cerchia di parentela e conoscenze.
Purtroppo l'Assemblea delle Donne ha deciso che quella di domani debba essere una manifestazione di sole donne; per decenza evito di trascrivere quel che ho pensato quando ho ricevuto questa notizia.comunque ritengo utile segnalarvi un appello cui ho aderito ed un appuntamento per uno spazio di discussione su questo scottatante tema:

Appello


Appuntamento

Caire atque vale
Giuseppe

mercoledì 21 novembre 2007

11 dicembre 2007: Una serata piena di stelle per i bambini onco-ematologici

Hola carissim*,
a quanto pare l'11 dicembre è un giorno particolarmente gettonato per gli spettacoli di beneficenza organizzati dai miei colleghi; infatti, oltre a quello che vi ho segnalato venerdì 16 novembre in favore del progetto "Giocando alla pace, prevenendo la guerra", nella stessa serata presso il Gran Teatro di Roma (Viale Tor di Quinto) lo spettacolo "Una serata piena di stelle per i bambini onco-ematologici" a favore dell'Associazione Peter Pan, che offre appunto assistenza alle famiglie di bambini longodegenti nei reparti oncologici del Bambin Gesù o di altri ospedali romani.
E' possibile acquistare i biglietti presso la "Stellina di Peter Pan"
(Via S. Francesco di Sales, 19 00165 Roma - Orari: dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 18,00 Tel. 388.8932221 – 06.68809417 Fax 06.68136853 e-mail: mcpp07@yahoo.it); in alternativa provate a chiederli a me postando un commento a questo messaggio che cerco di farveli avere.
Caire atque vale
Giuseppe


domenica 18 novembre 2007

17 dicembre 2007: Concerto del trio Max Gazzè, Paola Turci e Marina Rei

Hola carissim*,
lunedì 17 dicembre 2007 si terrà all'Auditorium di Roma il concerto
del trio Max Gazzè, Paola Turci e Marina Rei (costo del biglietto € 20,00).
Quest'estate sono andato a due dei concerti del loro tour "Di comune accordo" e tra poco uscirò per acquistare i biglietti del concerto del 17; insomma sia a me che a mia moglie Ale sono piaciuti tantissimo e per questo torniamo con gioia ad ascoltarli.
Vi segnalo anche le loro pagine su myspace, sia come trio che come singoli artisti,m sulle quali trovate tutte le date del tour:



Caire atque vale
Giuseppe

22 novembre 2007: La finanziaria 2008 spiegata ai cittadini

Hola carissim*,
giovedì 22 novembre le associazioni Altrevie e Cara Garbatella organizzano un incontro con i giornalisti Dino Pesole (Il Sole 24 Ore) e Giuseppina Paterniti (Tg3 Rai) per illustrare i contenuti della Legge Finanziaria 2008 ai cittadini. L'appuntamento è alle ore 21.00 in Via Caffaro, 10.
Caire atque vale

sabato 17 novembre 2007

Sempre sulla questione xenofobia: un articolo di Stefano Rodotà

Hola carissim*,
lo so è molto lungo, ma il tema è complesso e non è certo liquidabile in poche battute. Fate attenzione anche all'appello sullo stesso tema indicato nel post subito precedente.
Caire atque vale
Giuseppe

Da La Repubblica del 3 novembre
Stefano Rodotà

L'aggressione contro un gruppo di romeni dimostra che e' avvenuto qualcosa
che i pessimisti sentivano nell'aria. Quando sono tanto forti le emozioni, e
nessuno le raffredda e troppi le sfruttano, non soltanto diventa difficile
trovare le risposte giuste, ma si esasperano i conflitti.
Da un caso gravissimo, l'uccisione di Giovanna Reggiani, si e' passati con
troppa rapidita' all'indicazione di responsabilita' collettive. L'assassinio
e' quasi finito in secondo piano, e l'attenzione e' stata tutta rivolta a
documentare una sorta di incompatibilita' tra la nostra societa' e la
presenza romena, insistendo sulla percentuale di reati commessi da persone
provenienti da quel paese. In un clima sociale che si sta facendo sempre
piu' violento, le premesse per l'apertura della caccia al romeno, purtroppo,
ci sono tutte.
Cosi' non bastera' condannare l'accaduto. Le risposte istituzionali sono
gia' venute, e sarebbe sbagliato chiederne ulteriori inasprimenti, che
darebbero la sensazione che alla violenza si debba reagire solo con la
violenza si' che, se lo Stato arriva tardi o in maniera ritenuta inadeguata,
tutti sarebbero legittimati a farsi giustizia da se'. Alla politica si
devono chiedere non deplorazioni, ma misura; non ricerca di consenso, ma di
soluzioni ragionate.
Da anni, da troppi anni, siamo prigionieri di un uso congiunturale delle
istituzioni, che porta a misure che rispondono ad emozioni o a interessi di
breve periodo piu' che alla realta' dei problemi da affrontare. E' un
rischio che stiamo correndo anche in questi giorni, mentre avremmo bisogno
di analisi non approssimative e testa fredda nell'indicare le via d'uscita.
Di fronte alle tragedie nessuno dovrebbe fare calcoli meschini.
*
Il presidente della Repubblica ha sottolineato che le questioni
dell'immigrazione esigono responsabilita' comuni dell'Unione europea. Il
presidente del Consiglio si e' messo in contatto con il primo ministro
romeno. Dalle parti piu' diverse si e' sottolineata la necessita' di un
controllo del territorio e di una attenzione per le condizioni in cui vivono
gli immigrati. E' stata proprio una donna romena che ha consentito
l'immediato arresto dell'assassino.
Perche' allineo questi fatti? Perche', messi insieme, dimostrano la
parzialita' della tesi di chi pensa che sia sufficiente inasprire le pene,
cancellare le garanzie, far di tutt'erbe un fascio, sparare nel mucchio.
"Facimmo 'a faccia feroce" e' una vecchia tecnica di governo, ma e'
esattamente il contrario di quel che serve in situazioni come questa. E'
indispensabile, invece, una strategia integrata, fatta di cooperazione
internazionale, di legalita' a tutto campo, di efficienza degli apparati di
sicurezza, di misure per l'integrazione, di politica delle citta'. Ed e'
indispensabile una politica volta a promuovere la fiducia degli immigrati:
senza la collaborazione di quella donna, senza la rottura dello schema
dell'omerta' (purtroppo cosi' forte anche nella nostra cultura), l'assassino
non sarebbe stato individuato cosi' rapidamente. In ogni societa' la fiducia
e' una risorsa essenziale. Da soli, i provvedimenti di ordine pubblico non
ce la fanno, non ce l'hanno mai fatta.
Essere consapevoli di tutto questo non e' cattiva sociologia, ma buona
politica, anzi l'unica politica possibile. Proprio quanti si preoccupano
dell'efficienza dovrebbero esigere che si facciano passi concreti in quelle
direzioni. Proprio chi invoca la legalita' deve sapere che questa non e'
divisibile, ed e' stato giustamente notato che uno dei meriti del "pacchetto
sicurezza" e' nell'aver previsto anche una nuova disciplina del falso in
bilancio. Proprio chi fa professione di garantismo deve mostrare coerenza,
soprattutto nei momenti difficili: non si puo' essere garantisti a corrente
alternata.
Non sto sostenendo che il problema e' "ben altro". Cerco di dire che non ci
si puo' mettere la coscienza in pace con un decreto e una raffica di
espulsioni, dando cosi' all'opinione pubblica la pericolosa illusione che il
problema sia risolto. Qualche sera fa, intervenendo in una trasmissione
televisiva, Pier Luigi Vigna, certo non imputabile di atteggiamenti
compiacenti verso chi viola la legalita', ha riferito la risposta di un
responsabile dell'ordine pubblico ad una sua domanda su dove fossero finiti
i lavavetri scomparsi dalle vie di Firenze: "Stanno a rubare". E' l'effetto
ben noto a chi ha indagato sulla scomparsa o la diminuzione dei reati nelle
aree videosorvegliate: semplicemente i comportamenti criminali si erano
spostati nelle zone vicine. Ecco perche', se davvero si vuole uscire dalla
violenza e vincere la paura, nuove norme contenute in un decreto possono
essere un punto di partenza, vedremo fino a che punto accettabile.
*
Guardando solo agli inasprimenti della legislazione, anzi, si finisce col
distogliere lo sguardo dalla realta'. Piu' di una inchiesta di questo
giornale, ultima quella di Giuseppe D'Avanzo, ha documentato il degrado
urbano, le terribili condizioni di vita degli immigrati. Si puo' davvero
pensare che il problema si risolva con una politica delle ruspe e degli
"allontanamenti"? Con una tolleranza zero che poi non riesce neppure ad
essere tale se le forze di polizia non sono messe in grado di un controllo
intelligente e mirato del territorio, se i nuovi poteri dei sindaci
finiscono con l'indirizzare la loro attenzione verso una esasperazione del
momento dell'ordine pubblico invece di mettere al centro gli interventi
strutturali, complici le difficolta' economiche dei comuni? Si puo' certo
contare sull'effetto dissuasivo di una massiccia ondata di espulsioni. Ma
quanto potra' durare? E quali saranno gli effetti reali e i prezzi della
nuova disciplina?
Il decreto riprende lo schema delle norme di attuazione della direttiva
comunitaria del 2004 sul diritto di circolazione e di soggiorno dei
cittadini comunitari (romeni compresi), in vigore dal marzo di quest'anno,
con due significative integrazioni. La prima riguarda l'attribuzione del
"potere di allontanamento" non piu' al solo ministro dell'Interno, ma pure
al prefetto (una figura di cui si continua chiedere la scomparsa e che,
invece, ottiene cosi' una nuova e forte legittimazione). La seconda, ben
piu' incisiva, consiste nell'ampliamento delle cause che permettono
l'allontanamento del cittadino comunitario, riassunte nella formula dei
"motivi imperativi di pubblica sicurezza" che derivano dall'aver "tenuto
comportamenti che compromettono la tutela della dignita' umana o dei diritti
fondamentali della persona umana ovvero l'incolumita' pubblica, rendendo la
sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria
convivenza". Malgrado riferimenti altisonanti come dignita' o diritti
fondamentali, siamo di fronte ad una formula larghissima, nella quale
possono rientrare le situazioni e i comportamenti piu' diversi. Come sara'
interpretata?
Qui gioca il clima in cui il decreto e' stato approvato. Non "necessario e
urgente" fino alla sera prima (sono questi i requisiti di un decreto), il
provvedimento lo diventa dopo il brutale assassinio di Roma. Poiche' si deve
supporre che il governo conoscesse gia' i dati riguardanti i reati commessi
dai romeni, sui quali si e' tanto insistito in questi giorni, la conclusione
obbligata e' che si e' utilizzato lo strumento del decreto unicamente per
rispondere all'emozione dell'opinione pubblica. E la sua applicazione
rischia di essere guidata dalla stessa ispirazione, rendendo inoperanti le
garanzie necessarie per evitare che venga travolta una liberta' essenziale
del cittadino europeo.
*
La pressione dell'opinione pubblica non e' stata alleggerita dal decreto. Al
contrario, e' stata ulteriormente legittimata, si' che bisogna attendersi
che continuera' nei confronti dei prefetti. Gia' si annunciano liste di
migliaia di persone da allontanare: questo rendera' difficilissimo motivare
in modo adeguato ciascun singolo provvedimento. E i debolissimi giudici di
pace, che dovrebbero controllare questi provvedimenti, non hanno i mezzi per
farlo in modo adeguato, si' che non se la sentiranno di pronunciare un no.
Per non parlare di un successivo ricorso al tribunale amministrativo contro
l'allontanamento, che quasi nessuno potra' concretamente proporre. La
garanzia giurisdizionale, essenziale in uno Stato di diritto, rischia cosi'
d'essere concretamente cancellata.
Alle norme del decreto bisogna guardare con distacco e preoccupazione. Con
distacco, perche' non verra' solo da esse la soluzione di problemi che,
com'e' divenuto evidentissimo proprio in questi giorni, esigono interventi
di altra qualita' per rispondere alle legittime richieste dei cittadini in
materia di sicurezza. L'ordinaria convivenza, alla quale il decreto si
riferisce, non e' un qualcosa da salvaguardare, ma da ricostruire con
responsabilita' e azioni comuni, di cui gli italiani devono essere i primi
protagonisti. Con preoccupazione, perche' le norme del decreto e il clima in
cui nasce ci spingono in una direzione che aumenta la distanza dall'"altro",
che favorisce la creazione di "gruppi sospetti", abbandonando la logica
della responsabilita' individuale.
*
Serve, davvero con "necessita' e urgenza", un'altra forma di tolleranza
zero. Quella contro chi parla di "bestie", o invoca i metodi nazisti. Non e'
questione di norme. Bisogna chiudere "la fabbrica della paura". E' il
compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui
e' sempre piu' arduo ritrovare le tracce. Un'agenda politica ossessivamente
dominata dal tema della sicurezza porta inevitabilmente con se' pulsioni
autoritarie. Ricordiamo una volta di piu' che la democrazia e' faticosa, ma
e' la strada che siamo obbligati a percorrere.

Condivido in pieno e aderisco convinto all'appello del Triangolo Nero

Hola carissim*,
sono fortemente preoccupato per il grande e diffuso radicamento di idee e convinzioni xenofobe, violente e razziste; pertanto non posso fare a meno di segnalarvi e di aderire all'appello del Triangolo Nero:

Testo dell'appello

Per aderire

Caire atque vale
Giuseppe

venerdì 16 novembre 2007

Film "Angeli Distratti" sul massacro di Falluja

Hola carissim*,
Mi giunge da Fabio Alberti, presidente di Un ponte per... (per chi non lo ricorda Un ponte per... è l'associazione delle due Simone che vennero sequestrate in Iraq) la seguente importante segnalazione:

<<
Debutta stasera a Roma, Torino e Milano

ANGELI DISTRATTI
Falluja: aprendo le porte dell'inferno
di Gianluca Arcopinto
tratto dal testo teatrale "Canto per Falluja" di Francesco Niccolini

ROMA Cinema Politecnico Fandango [Via Tiepolo, 13/a]
Spettacoli delle 20.30 e delle 22.30
presenti Gianluca Arcopinto (regista) Lello Rienzi e Simona Torretta (Un ponte per...)

TORINO, Cinema Centrale [Via Carlo Alberto, 27 ]
spettacoli delle ore 18.00, 20.00 e 22.00
alle ore 19.00 commentano il film: Don Luigi Ciotti (Gruppo Abele) e Fabio Alberti (Un ponte per)

MILANO - Cinema Nuova Orchidea [Via Terraggio, 3]
spettacoli delle 20.30 e delle 22.30

* * *
Chi lo dirà adesso ai bambini che questa notte gli angeli erano distratti?
Fallujah, novembre 2004. Mentre nella città si susseguono bombardamenti e massacri con armi non convenzionali, in una stanza si incontrano un soldato americano e una donna irachena.

Un film di Un ponte per... per ricordare il massacro di Falluja
e perchè non ce ne siano altri.


www.angelidistratti.com
www.unponteper.it
>>

Sullo stesso film vi segnalo anche questo articolo pubblicato dall'agenzia di stampa PeaceReporter.
Caire atque vale
Giuseppe



11 dicembre 2007: Spettacolo teatrale "LAB7 Project (Wellcome to Illusa)"

Hola carissim*,
una mia collega mi ha segnalato lo spettacolo teatrale "LAB7 Project (Wellcome to Illusa)", che verrà rappresentato l'11 dicembre 2007 al Teatro Sette di Roma (Via Benevento, 23). Il ricavato andrà in beneficenza a finanziare il progetto "Giocando alla pace, prevenendo la guerra" a favore dei bambini israeliani e palestinesi.
Caire atque vale
Giuseppe

martedì 13 novembre 2007

Dopo più di sei anni Genova resta sempre una ferita aperta

Hola carissim*,
vi propongo un appello relativo alle vicende politiche scaturite dai fatti di Genova 2001, che ancora oggi rappresentano una delle notti più oscure della nostra storia repubblicana. Purtroppo ho poco tempo e non posso dilungarmi, per il momento vi invito solo a firmarlo nonostante alcuni suoi evidenti limiti al confine tra l'ingenuità ed il facile populismo; spero a breve di riuscire a postare una riflessione più seria sia su Genova e sia su quanto e seguito, ma anche su quanto ha preceduto (chi si ricorda cosa successe a Napoli solo tre mesi prima e sotto un governo di centrosinistra?).
Caire atque vale
Giuseppe

venerdì 9 novembre 2007

Novembre a Roma è il mese dei bei concerti: Terramaris il 15

Hola carissim*,
a quanto pare i miei artisti preferiti si sono messi d'accordo e hanno deciso quasi tutti di fare un concerto a novembre: il 15 novembre sarà la volta dei Terramaris alla Locanda Atlantide (Via dei Lucani 22/b - Zona San Lorenzo) che presenteranno il loro ultimo disco Lovodepongo. La loro musica naviga molto sulle acque del mediterraneo con forti influenze rock e jazz; un'esperienza da provare. Costo del biglietto 3 €; per l'occasione, acquistando il cd l'ingresso il concerto sarà gratuito: disco più biglietto 10 €.
Caire atque vale
Giuseppe

mercoledì 7 novembre 2007

Tre gran bei concerti a Roma il 7, l'8 e e l'11 novembre

Hola carissim*,
altre segnalazioni di gran bei concerti a Roma da andare a sentire.

Stefano Di Battista

Cominciamo il 7 novembre, quando all'Auditorium di Roma nell'ambito della rassegna
Roma Jazz Festival "MetaSax" il sassofonista Stefano di Battista si esibirà nel concerto per la presentazione del suo ultimo disco "Trouble Shootin", che uscirà nei negozi nei prossimi giorni ed è già disponibile su iTunes, dal quale l'ho scaricato (acquistandolo regolarmente) per la gioia sublime delle mie orecchie (costo del biglietto € 16,00).

Francesco Camattini

L'8 novembre alle 22.00 sarà invece il turno di Francesco Camattini in concerto al Lian Club (Via degli Enotri, 6 - zona San Lorenzo); che dire: il suo ultimo disco "Fine della storia" lo trovate indicato qui a destra nell'elenco delle "Cose che porterei con me se...", quindi fate un po' voi (costo del biglietto 4,00 €). Inoltre l'11 novembre alle 19.00 Francesco farà anche un concerto presso la FNAC di Napoli (Via Luca Giordano, 59).

Filippo Gatti e Tommaso Lòstia

Per chiudere l'11 novembre alle 22.00 con il concerto di Filippo Gatti e di Tommaso Lòstia presso il Traffic Live Club (Via Vacuna, 98 - Zona Stazione Tiburtina); Tommaso Lòstia non lo conosco, ma le canzoni che ho ascoltato sul suo myspace mi sono piaciute; in quanto a Filippo Gatti, invece, spero che qualcuno di voi si ricordi degli Elettrojoyce di cui era il leader; oggi Filippo è di certo uno dei migliori cantautori e poeti italiani, che volontariamente sceglie strade poco battute e assolutamente non commerciali (costo del biglietto € 5,00 + tessera).

Caire atque vale
Giuseppe

Daniel Amit: uomo di scienza , uomo di pace

Hola carissim*,
ci sono delle persone la cui morte ti provoca un senso di sgomento e solitudine anche se le hai conosciute solo per fama. Il professor Daniel Amit, fisico di fama mondiale e costruttore di pace e dialogo in una terra quotidianamente devastata dall'odio come è il territorio israelopalestinese, morto domenica scorsa, è sicuramente una di queste; lo sgomento e la solitudine sono poi amplificati dal sapere che causa della morte di Amit è un atto di suicidio.
L'idea che una persona che ha combattuto per tutta una vita le ingiustizie del mondo all'improvviso si arrenda così è per sconvolgente; riprovo in questi giorni le stesse sensazioni che provai quando, il 3 luglio 1995, ricevetti la notizia del suicidio di Alex Langer; il biglietto, che Langer lasciò ai familiari e a noi tutti, recitava poche parole: "Non siate tristi, continuate in ciò che è giusto."; queste parole oggi affondano ancora di più nella nostra quotidianità.
Sotto trovate i ricordi di Amit pubblicati su "Il Manifesto" e su Liberazione, più un suo articolo di aprile 2002 per "La rivista del Manifesto".
Che la terra sia lieve a quest'uono di scienza e di pace.
Caire atque vale
Giuseppe

Il Manifesto

Liberazione 1

Liberazione 2

Articolo di Daniel Amit per "La Rivista del Manifesto" - aprile 2002

domenica 4 novembre 2007

Prostituzione Dalla Nigeria a un marciapiede italiano. Una ex prostituta si racconta

Hola carissim*,
l'articolo che segue è tratto dal quotidiano "Il Manifesto" di sabato 3 novembre; il tema è uno di quelli che più mi stanno a cuore; sono infatti convinto che queste ragazze siano tra le maggiori vittime da una lato della globalizzazione capitalistica dove tutto, vita umana compresa, è ridotta a merce, dall'altro della nostra strisciante ipocrisia benpensante e razzista.
E non mi si dica che la soluzione consiste nel riaprire i bordelli: per strada o al chiuso nel 99% dei casi si tratta sempre e comunque di bieco sfruttamento nei confronti di una donna che si trova in una situazione di disperazione; l'unica soluzione dal punto di vista di noi singoli cittadini (nello specifico cittadini maschi) è quella di non essere nel modo più assoluto partecipi a questo sfruttamento; dal punto di vista istituzionale è quella di restituire loro la dignità, che gli è stata strappata, mettendo in campo reali opportunità di uscita dall'inferno.
Caire atque vale
Giuseppe

«Sognavo l'Italia, non la schiavitù»
In strada arrivano anche i pazzi e i violenti, e ogni sera a una di noi capita una rapina o uno stupro Otto clienti va bene, dieci è meglio, da dodici in su fisicamente sei distrutta. Con cinque non c'è lavoro
Isoke Aikpitanyi

Gladys piange. Ha sì e no vent'anni ed è magra come un filo d'erba. Magra, sporca, con un incisivo spaccato a metà. Dice che gliel'ha rotto un cliente, con un pugno. Dice: «Voleva indietro i soldi e io ho detto di no, e allora mi ha picchiata e poi violentata e poi si è preso i soldi e mi ha lasciata lì». Gladys piange. E' arrivata un anno fa dalla Nigeria, ha camminato e camminato per diciannove mesi, l'hanno fatta passare attraverso il Libano e ora si ritrova qui, a sbattere sulle strade intorno a Orte. L'ha fatta arrivare sua cugina. Le aveva promesso una casa e un lavoro in cambio di 60 mila euro, e poi le ha dato un paio di mutande e poi l'ha messa qui, sulla strada. Gladys ha il permesso di tornare a casa solo il fine settimana, e solo se porta abbastanza soldi. Gli altri giorni vive in strada. Dorme, si cambia, si lava in treno, andando da un paese all'altro, da un marciapiede all'altro. Lavora 15, 16, 17 ore al giorno. Piange. «Non è vita, non è vita, aiutami tu».
Io, Isoke. Cosa posso fare, io, se non raccontare la sua storia? Che poi è anche la mia, è la storia di tutte le migliaia di ragazze che partono da Benin City piene di speranza e poi eccole, le vedete sulle vostre strade giorno e notte, su quei tacchi ridicoli, con quella carne di fuori. Sette giorni su sette, per dieci-dodici ore al giorno, per 365 giorni l'anno. Per due-tre anni, fino a che non hanno pagato i 50-60 mila euro del debito. Trattate come schiave. E credetemi: non sto inventando niente. Io, Isoke Rose Ovbhokan Aikpitanyi, di anni 28, non avrei mai potuto inventare una storia così. La mia stessa storia. Terza di otto figli, con genitori separati. In casa non c'era mai da mangiare per tutti. Io guardavo la televisione e sognavo il paradiso, l'Europa dei bianchi dove tutto, dicevano, era così bello e così facile. Guardavo i manifesti dentro le agenzie turistiche. Sognavo. Avevo vent'anni. E un giorno sono entrata.
«Vuoi partire?» «Non ho soldi». «Un modo c'è, se sei una ragazza sveglia». Il modo c'era. Un'organizzazione trovava casa e lavoro in Europa, bastava impegnarsi a pagare i soldi del servizio. Per me erano 30 milioni, otto anni fa. Avrei fatto la commessa in un supermercato a Londra. «Ti va bene?» «Benissimo». A Londra mi hanno tenuto rinchiusa per settimane, insieme a molte altre. Del lavoro non c'era traccia. Però c'erano le telefonate: «La merce è arrivata, manda i soldi»; «se non la prendi tu, la vendiamo a qualcun altro». Parigi, Amsterdam, Berlino... Merce? Quale merce? Noi quasi impazzivamo per la paura. Cosa stanno vendendo? A chi? E soprattutto: perché?
Mi hanno detto che il mio lavoro era a Torino e mi hanno messo su un pullman. Sono scesa alla stazione di Porta Nuova. Dopo una settimana mi hanno dato un paio di mutande e un paio di scarpe coi tacchi altissimi. «Sul posto di lavoro si mette questo» hanno detto. Il posto di lavoro era un marciapiede. C'era la neve. «Non è possibile non è possibile non è possibile». Riuscivo solo a pensare questo: non è possibile. Ma ero senza soldi e senza documenti, e l'unica parola che sapevo di italiano era vaffanculo. Avevo il debito da pagare e si sa cosa succede alle ragazze che non vogliono pagare. Come la mia compagna di stanza, Itohan. Le hanno ammazzato un fratello in Nigeria perché lei non voleva stare sul marciapiede. Ha tenuto duro. Dopo un mese è sparita. Un cane l'ha trovata che era morta già da tempo, un cadavere mangiato dai topi dentro un capannone abbandonato alla periferia di Torino. Ditemi che cosa potevo fare d'altro. Ho chinato la testa, come tutte le altre, e ho cominciato anch'io la mia vita in Italia.
Su quel marciapiede sono rimasta quasi tre anni, prima di riuscire a scappare. Ora vivo ad Aosta, ho un compagno italiano, insieme abbiamo creato un'associazione contro la tratta che si chiama «La ragazza di Benin City». Sto pensando di sposarmi e anche di avere un figlio. Sei fortunata, mi dico. Ma le mie compagne sono ancora lì, a battere. Anche adesso che mi state leggendo, a migliaia, sono in giro per l'Italia e battono su quel pezzo di marciapiede per cui gli fanno pagare anche 250 o 300 euro al mese. Se non guadagnano abbastanza, sono botte. Se non vogliono lavorare, sono botte. Vanno al lavoro con i denti rotti, con gli occhi pesti. E in strada la gente gira gli occhi o gli tira l'immondizia, grida degli insulti. «Tornatene a casa, sporca negra». In strada arrivano i clienti e non gliene frega niente. «Quanto vuoi?»
In strada arrivano anche i pazzi e i violenti, e ogni sera a una di noi capita qualcosa, una rapina o uno stupro. Ma a chi importa? Vai all'ospedale quando proprio sei in fin di vita, e non è che ti trattino molto bene. Arriva il piantone, prende svogliatamente una denuncia che già sai finirà in niente. Poi a te danno il foglio di via. Sei la vittima e vieni trattata come un colpevole, spazzatura da cui ripulire le strade, e chissenefrega del tuo destino.
Da quando sono in Italia, ho fatto il conto con i giornali e con la tivù, almeno 200 ragazze nigeriane sono state trovate morte, uccise dai clienti o dal racket. E parlo solo di quelle che hanno trovato; di quelle sparite nel nulla non so dire niente. Non so dire neanche quante sono state rimandate a casa col rimpatrio forzato, in mutande e con le scarpe ridicole, così come le hanno prese sulla strada. So però che molte sono finite in prigione, e che le famiglie si vergognano di loro talmente tanto che neanche vanno a pagare la multa per liberarle. Anzi, le maledicono.
Così, quando escono dalla galera, l'unica cosa che possono fare queste ragazze è andare a sbattere intorno agli alberghi dei ricchi per pagarsi un altro viaggio verso l'Italia. Noi non lo sappiamo, quando partiamo da Benin City piene di speranza. Non sappiamo che il nostro è un viaggio dentro la schiavitù e dentro l'orrore, ma soprattutto un viaggio da cui non c'è possibilità di ritorno.
In Italia la nostra vita è battere. Prigioniere.Casa-marciapiede-casa-marciapiede. Mai un cinema, una discoteca, un supermercato. Noi non dobbiamo mescolarci ai bianchi, gli ordini sono chiari. Con i bianchi l'unico scambio possibile è «quanto vuoi», «venticinque euro». In certe zone d'Italia sono solo dieci, o anche cinque. «Va bene, sali». E tu sali. «Quanto hai guadagnato stasera? Quanti clienti hai fatto?»
Otto clienti va bene, dieci è meglio, da dodici in su fisicamente sei distrutta. Cinque clienti vuol dire che non c'è lavoro. Così quando qualcuno ti offre il doppio per farlo senza preservativo, pur di non prendere le botte dici di sì. Se poi rimani incinta ti fanno abortire in casa, a tuo rischio e pericolo. Ma a volte qualcuna decide di tenere il bambino, e la fanno rimanere sulla strada fino a poche ore prima di partorire. «Non sei mica incinta nelle mani» dice la maman che la controlla. E per le donne incinta i clienti fanno la fila. Anche se hanno la pancia così e le caviglie gonfie: c'è la fila. Poi finalmente partoriscono, ovviamente in casa, di nascosto, e questo figlio diventa la catena peggiore. Non pensano più a scappare o a ribellarsi, pensano solo a lavorare e a fare soldi e a correre a casa. Se non portano abbastanza soldi, il figlio non glielo fanno neanche vedere. Inutile piangere. Inutile.
Io una via d'uscita l'ho cercata, e come me le tante ragazze di Benin City che di questa vita di Italia non ne possono più. Un cliente che era una persona per bene (ce ne sono tanti, dovete credermi) mi ha portato in due associazioni a cercare aiuto. Hanno detto che c'era l'articolo 18, che se denunciavo i miei sfruttatori potevo avere il permesso di soggiorno. «Ma io non posso fare la denuncia, quelli hanno già minacciato la mia famiglia. Non voglio che ammazzino mia madre o i miei fratelli». «Si vede che non sei ancora decisa. Torna il mese prossimo». Il mese dopo sono tornata. «Allora, questa denuncia?» «Non posso». «Pensaci ancora. Ci vediamo tra un mese». Alla fine non sono tornata più.
Oggi ho un permesso di soggiorno come colf, sono riuscita ad averlo con l'ultima sanatoria. Ma di pulizie ne faccio poche. Il mio lavoro vero, ormai, è quello di andare in giro a parlare, a raccontare, a spiegare. A dire: la schiavitù esiste, vedete, e io ero una schiava. Una prostituta schiava. Le prime volte mi mancava la voce, quasi morivo dalla vergogna e dall'imbarazzo. Oggi non più. Guardo la gente in faccia e penso a Gladys, a Itohan, alla ragazza che ero e alla trappola in cui tutte siamo finite. Ascoltateci, dico. Una storia come la nostra non si cancella. Non si dimentica, non si supera, non ci si viene mai a patti. E non basta lasciare la strada, trovare un compagno, chiudere la porta di casa e andare a letto, per tenere fuori dal cuore i ricordi e il dolore. Per questo io, Isoke, ho deciso di alzarmi in piedi e parlare. Di dire a tutti: adesso vi racconto cos'è la tratta. Io l'ho vissuta. Sono una sopravvissuta. Ascoltatemi.
Sono la prima che in vent'anni ha avuto il coraggio di farlo, mettendoci il nome e il cognome e la faccia. Ho portato la mia faccia persino da Bertinotti, che mi ha stretto la mano, e da Ferrero, che per un'ora ha ascoltato la mia storia. Ho messo la mia faccia e il mio nome anche sulla copertina di un libro, «Le ragazze di Benin City», e ora la porto in giro in tutta Italia, a parlare nelle scuole e nelle librerie, nelle associazioni di donne e ai seminari di Amnesty. Ogni volta in sala vedo che qualche donna, ascoltandomi, si mette a piangere. E' giusto, dico. Abbiamo pianto tanto anche noi.
Gladys piange a Orte. Osas piange a Torino. E Stella, e Rosemary, e Jessica, e Pamela... Quante ce ne sono. Quante. Troppe. Vengono a cercarmi spaventate, si passano il mio numero di telefono l'una con l'altra. Chiedono aiuto. «Di te mi fido» dicono. Ma cosa posso fare, io, se non raccontare le loro storie? Posso solo dire, a chi mi ascolta: liberatele. Date loro i documenti, e la scuola, e un lavoro. Tiratele via dal marciapiede, oggi, subito, prima che muoiano dentro; prima che dicano, come in tante hanno già detto: «Il mondo gira così, che cosa vuoi farci».
Allora, una volta finito di pagare il debito, compreranno anche loro una ragazza, o due, o tre, e poi faranno i soldi sulla carne fresca in vendita. E' così difficile da capire? Sì. Forse è difficile. Così difficile che, da anni, inutilmente io cerco di aprire una piccola casa d'accoglienza ad Aosta. Una casa per le vittime, gestita dalle ex vittime, per le tante Gladys ed Essohè e Jessica che aiutandosi l'una con l'altra, da vittima a vittima, possono provare a rimettere insieme i pezzi della loro vita. Ho bussato a mille porte; mille volte me le hanno chiuse in faccia. Non importa. Sono convinta che la storia sia dalla mia parte. Per questo non mi stanco di dire a tutti: è possibile. Ascoltatemi. Liberatele.

L'autrice Isoke Aikpitanyi: Dalla strada all'impegno sociale

Isoke Aikpitanyi, nata a Benin City (Nigeria) 28 anni fa, è arrivata in Italia a vent'anni. Le avevano promesso un lavoro di commessa in un negozio, ma si è ritrovata invece a vivere in schiavitù e a prostituirsi, come racconta nell'articolo in questa pagina che è la sua storia. Isoke, a differenza di tante altre, ha avuto il coraggio di denunciare la sua condizione (anche grazie all'aiuto di un cliente) e vive ad Aosta, dove sta creando la prima casa di accoglienza per le ragazze nigeriane di strada. Contemporaneamente alla sua attività sociale, nella vita ora fa la colf. Ha scritto «Le ragazze di Benin City» (Melampo editore), un libro autobiografico sulla tratta delle schiave dall'Africa verso l'Italia e sulla loro vita nel nostro paese, da un mese in libreria. Il testo che vedete in questa pagina è stato raccolto dalla giornalista e scrittrice Laura Maragnani, che con lei ha realizzato il libro.