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sabato 17 novembre 2007

Sempre sulla questione xenofobia: un articolo di Stefano Rodotà

Hola carissim*,
lo so è molto lungo, ma il tema è complesso e non è certo liquidabile in poche battute. Fate attenzione anche all'appello sullo stesso tema indicato nel post subito precedente.
Caire atque vale
Giuseppe

Da La Repubblica del 3 novembre
Stefano Rodotà

L'aggressione contro un gruppo di romeni dimostra che e' avvenuto qualcosa
che i pessimisti sentivano nell'aria. Quando sono tanto forti le emozioni, e
nessuno le raffredda e troppi le sfruttano, non soltanto diventa difficile
trovare le risposte giuste, ma si esasperano i conflitti.
Da un caso gravissimo, l'uccisione di Giovanna Reggiani, si e' passati con
troppa rapidita' all'indicazione di responsabilita' collettive. L'assassinio
e' quasi finito in secondo piano, e l'attenzione e' stata tutta rivolta a
documentare una sorta di incompatibilita' tra la nostra societa' e la
presenza romena, insistendo sulla percentuale di reati commessi da persone
provenienti da quel paese. In un clima sociale che si sta facendo sempre
piu' violento, le premesse per l'apertura della caccia al romeno, purtroppo,
ci sono tutte.
Cosi' non bastera' condannare l'accaduto. Le risposte istituzionali sono
gia' venute, e sarebbe sbagliato chiederne ulteriori inasprimenti, che
darebbero la sensazione che alla violenza si debba reagire solo con la
violenza si' che, se lo Stato arriva tardi o in maniera ritenuta inadeguata,
tutti sarebbero legittimati a farsi giustizia da se'. Alla politica si
devono chiedere non deplorazioni, ma misura; non ricerca di consenso, ma di
soluzioni ragionate.
Da anni, da troppi anni, siamo prigionieri di un uso congiunturale delle
istituzioni, che porta a misure che rispondono ad emozioni o a interessi di
breve periodo piu' che alla realta' dei problemi da affrontare. E' un
rischio che stiamo correndo anche in questi giorni, mentre avremmo bisogno
di analisi non approssimative e testa fredda nell'indicare le via d'uscita.
Di fronte alle tragedie nessuno dovrebbe fare calcoli meschini.
*
Il presidente della Repubblica ha sottolineato che le questioni
dell'immigrazione esigono responsabilita' comuni dell'Unione europea. Il
presidente del Consiglio si e' messo in contatto con il primo ministro
romeno. Dalle parti piu' diverse si e' sottolineata la necessita' di un
controllo del territorio e di una attenzione per le condizioni in cui vivono
gli immigrati. E' stata proprio una donna romena che ha consentito
l'immediato arresto dell'assassino.
Perche' allineo questi fatti? Perche', messi insieme, dimostrano la
parzialita' della tesi di chi pensa che sia sufficiente inasprire le pene,
cancellare le garanzie, far di tutt'erbe un fascio, sparare nel mucchio.
"Facimmo 'a faccia feroce" e' una vecchia tecnica di governo, ma e'
esattamente il contrario di quel che serve in situazioni come questa. E'
indispensabile, invece, una strategia integrata, fatta di cooperazione
internazionale, di legalita' a tutto campo, di efficienza degli apparati di
sicurezza, di misure per l'integrazione, di politica delle citta'. Ed e'
indispensabile una politica volta a promuovere la fiducia degli immigrati:
senza la collaborazione di quella donna, senza la rottura dello schema
dell'omerta' (purtroppo cosi' forte anche nella nostra cultura), l'assassino
non sarebbe stato individuato cosi' rapidamente. In ogni societa' la fiducia
e' una risorsa essenziale. Da soli, i provvedimenti di ordine pubblico non
ce la fanno, non ce l'hanno mai fatta.
Essere consapevoli di tutto questo non e' cattiva sociologia, ma buona
politica, anzi l'unica politica possibile. Proprio quanti si preoccupano
dell'efficienza dovrebbero esigere che si facciano passi concreti in quelle
direzioni. Proprio chi invoca la legalita' deve sapere che questa non e'
divisibile, ed e' stato giustamente notato che uno dei meriti del "pacchetto
sicurezza" e' nell'aver previsto anche una nuova disciplina del falso in
bilancio. Proprio chi fa professione di garantismo deve mostrare coerenza,
soprattutto nei momenti difficili: non si puo' essere garantisti a corrente
alternata.
Non sto sostenendo che il problema e' "ben altro". Cerco di dire che non ci
si puo' mettere la coscienza in pace con un decreto e una raffica di
espulsioni, dando cosi' all'opinione pubblica la pericolosa illusione che il
problema sia risolto. Qualche sera fa, intervenendo in una trasmissione
televisiva, Pier Luigi Vigna, certo non imputabile di atteggiamenti
compiacenti verso chi viola la legalita', ha riferito la risposta di un
responsabile dell'ordine pubblico ad una sua domanda su dove fossero finiti
i lavavetri scomparsi dalle vie di Firenze: "Stanno a rubare". E' l'effetto
ben noto a chi ha indagato sulla scomparsa o la diminuzione dei reati nelle
aree videosorvegliate: semplicemente i comportamenti criminali si erano
spostati nelle zone vicine. Ecco perche', se davvero si vuole uscire dalla
violenza e vincere la paura, nuove norme contenute in un decreto possono
essere un punto di partenza, vedremo fino a che punto accettabile.
*
Guardando solo agli inasprimenti della legislazione, anzi, si finisce col
distogliere lo sguardo dalla realta'. Piu' di una inchiesta di questo
giornale, ultima quella di Giuseppe D'Avanzo, ha documentato il degrado
urbano, le terribili condizioni di vita degli immigrati. Si puo' davvero
pensare che il problema si risolva con una politica delle ruspe e degli
"allontanamenti"? Con una tolleranza zero che poi non riesce neppure ad
essere tale se le forze di polizia non sono messe in grado di un controllo
intelligente e mirato del territorio, se i nuovi poteri dei sindaci
finiscono con l'indirizzare la loro attenzione verso una esasperazione del
momento dell'ordine pubblico invece di mettere al centro gli interventi
strutturali, complici le difficolta' economiche dei comuni? Si puo' certo
contare sull'effetto dissuasivo di una massiccia ondata di espulsioni. Ma
quanto potra' durare? E quali saranno gli effetti reali e i prezzi della
nuova disciplina?
Il decreto riprende lo schema delle norme di attuazione della direttiva
comunitaria del 2004 sul diritto di circolazione e di soggiorno dei
cittadini comunitari (romeni compresi), in vigore dal marzo di quest'anno,
con due significative integrazioni. La prima riguarda l'attribuzione del
"potere di allontanamento" non piu' al solo ministro dell'Interno, ma pure
al prefetto (una figura di cui si continua chiedere la scomparsa e che,
invece, ottiene cosi' una nuova e forte legittimazione). La seconda, ben
piu' incisiva, consiste nell'ampliamento delle cause che permettono
l'allontanamento del cittadino comunitario, riassunte nella formula dei
"motivi imperativi di pubblica sicurezza" che derivano dall'aver "tenuto
comportamenti che compromettono la tutela della dignita' umana o dei diritti
fondamentali della persona umana ovvero l'incolumita' pubblica, rendendo la
sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria
convivenza". Malgrado riferimenti altisonanti come dignita' o diritti
fondamentali, siamo di fronte ad una formula larghissima, nella quale
possono rientrare le situazioni e i comportamenti piu' diversi. Come sara'
interpretata?
Qui gioca il clima in cui il decreto e' stato approvato. Non "necessario e
urgente" fino alla sera prima (sono questi i requisiti di un decreto), il
provvedimento lo diventa dopo il brutale assassinio di Roma. Poiche' si deve
supporre che il governo conoscesse gia' i dati riguardanti i reati commessi
dai romeni, sui quali si e' tanto insistito in questi giorni, la conclusione
obbligata e' che si e' utilizzato lo strumento del decreto unicamente per
rispondere all'emozione dell'opinione pubblica. E la sua applicazione
rischia di essere guidata dalla stessa ispirazione, rendendo inoperanti le
garanzie necessarie per evitare che venga travolta una liberta' essenziale
del cittadino europeo.
*
La pressione dell'opinione pubblica non e' stata alleggerita dal decreto. Al
contrario, e' stata ulteriormente legittimata, si' che bisogna attendersi
che continuera' nei confronti dei prefetti. Gia' si annunciano liste di
migliaia di persone da allontanare: questo rendera' difficilissimo motivare
in modo adeguato ciascun singolo provvedimento. E i debolissimi giudici di
pace, che dovrebbero controllare questi provvedimenti, non hanno i mezzi per
farlo in modo adeguato, si' che non se la sentiranno di pronunciare un no.
Per non parlare di un successivo ricorso al tribunale amministrativo contro
l'allontanamento, che quasi nessuno potra' concretamente proporre. La
garanzia giurisdizionale, essenziale in uno Stato di diritto, rischia cosi'
d'essere concretamente cancellata.
Alle norme del decreto bisogna guardare con distacco e preoccupazione. Con
distacco, perche' non verra' solo da esse la soluzione di problemi che,
com'e' divenuto evidentissimo proprio in questi giorni, esigono interventi
di altra qualita' per rispondere alle legittime richieste dei cittadini in
materia di sicurezza. L'ordinaria convivenza, alla quale il decreto si
riferisce, non e' un qualcosa da salvaguardare, ma da ricostruire con
responsabilita' e azioni comuni, di cui gli italiani devono essere i primi
protagonisti. Con preoccupazione, perche' le norme del decreto e il clima in
cui nasce ci spingono in una direzione che aumenta la distanza dall'"altro",
che favorisce la creazione di "gruppi sospetti", abbandonando la logica
della responsabilita' individuale.
*
Serve, davvero con "necessita' e urgenza", un'altra forma di tolleranza
zero. Quella contro chi parla di "bestie", o invoca i metodi nazisti. Non e'
questione di norme. Bisogna chiudere "la fabbrica della paura". E' il
compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui
e' sempre piu' arduo ritrovare le tracce. Un'agenda politica ossessivamente
dominata dal tema della sicurezza porta inevitabilmente con se' pulsioni
autoritarie. Ricordiamo una volta di piu' che la democrazia e' faticosa, ma
e' la strada che siamo obbligati a percorrere.

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