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Se non ora, quando? Se non qui, dove? Se non io, se non tu, chi?


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venerdì 28 dicembre 2007

Gli auguri di Eugenio Melandri

Hola carissim*,

vi rigiro gli auguri per queste feste di Eugenio Melandri.

Caire atque vale

Giuseppe

Corre inesorabilmente il tempo. Siamo di nuovo alla fine di un anno. E, di
nuovo, da una parte guardiamo indietro, per capire dove siamo arrivati e,
dall’altra, gettiamo lo sguardo oltre il muro, per cogliere il futuro che ci
aspetta.
La vita di ognuno di noi puo’ paragonarsi a un viaggio. Giorno dopo giorno,
ora dopo ora. Con la sfida, insita nella nostra stessa umanita’, di lasciare
a chi verra’ dopo di noi un mondo piu’ abitabile e piu’ umano.
Fa parte del nostro universo culturale la speranza in un domani migliore:
l’eta’ dell’oro sta davanti a noi, non dietro di noi. Un atto di fede che ci
permette di impegnarci, di lavorare, spesso anche instancabilmente, di
soffrire, a volte anche di morire, pur di dare mani, gambe, vita a questo
futuro migliore. Anche quando le cose non marciano come vorremmo. Anche se
ci sono difficolta’ che sembrano insormontabili.
E arriviamo cosi’ al cuore piu’ profondo dell’essere umano. Piccolo e
fragile, come il Bambino della grotta di Betlem, come ogni bambino che,
nascendo, porta una carica di novita’ a questo vecchio mondo. Ma, allo
stesso tempo, grande e suggestivo, unico e irripetibile.
Il poeta indiano Tagore scriveva che ogni bambino che nasce ci da’ la
certezza che Dio non si e’ ancora stancato di noi. E’ vero, ogni nascita e’
un miracolo. E’ l’incarnarsi della speranza. Il farsi storia dell’utopia. Al
di la’ della fede di ognuno, Natale, ogni Natale, in qualsiasi parte del
mondo avvenga - e’ questo irrompere strepitoso di vita dentro la nostra
stanchezza.
Non e’ strano che proprio a dicembre, alla fine di un anno di storia, siamo
quasi costretti a porci le domande di fondo, che toccano la nostra identita’
umana. A incontrarci con la vita che ha il volto di un bambino che nasce.
Lontano dai palazzi. Avvolto in pochi panni. Deposto in una greppia. A
significare la grandezza di ogni vita. Al di la’ delle ricchezze, del
potere, degli orpelli che tanto facilmente costruiamo perche’ ci manca il
coraggio di andare all’essenza delle cose.
Ogni persona che nasce in questo mondo e’ unica e irripetibile. Va amata e
rispettata in se stessa. Non per quello che ha, ma per quello che e’. Non
per le cose che fa, ma per la novita’ di cui e’ portatrice.
Sessant’anni fa veniva promulgata la carta universale dei diritti umani. E’
vero: ancora oggi, a tanti anni di distanza, troppe persone non hanno ancora
la possibilita’ di godere pienamente di questi diritti. E’ il segno della
grande contraddizione che ci portiamo dentro. Siamo capaci di rinnovare ogni
giorno il miracolo della vita che nasce come frutto d’amore, ma siamo anche
capaci di rifiutare le vita, di renderla dura e difficile. Perfino di dare
la morte. Ma e’ pur anche vero che - e la proclamazione della carta dei
diritti umani lo dimostra - ci portiamo dentro la nostalgia di un mondo dove
la vita di tutti sia posta al centro, sia davvero e sempre rispettata come
sacra.
Dicembre e’ un mese di confine. Da un lato ci richiama alla vita che nasce,
e dall’altro “con il morire dell’anno” ci spinge a fare i conti con la
nostra fine. Con la morte. Perche’ e’ vero che quando nasciamo cominciamo a
morire.
Forse per dirci che, se vogliamo dare un senso profondo ed umano anche al
nostro dover morire, siamo sfidati a fare di tutto perche’ ad ogni bambino
che nasce sia data la possibilita’ di vivere. E di vivere in pienezza.
Auguri
Eugenio

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